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Storia di Natale Marzari

Dopo 41 anni e 5 mesi, nel maggio 2006 la magistratura di Trento ha riconosciuto l'esistenza  e  la gravità di quella malattia rara che nessuna altra istituzione o persona singola della provincia di Trento ancora mi riconosce, e per negare la quale ancora mi perseguita.    Natale Marzari

MIOPATIA MITOCONDRIALE

 


  I MECCANISMI SOCIALI

Il sapere

I sogni

I comportamenti

I pregiudizi

Il feed back


  L'ESPERIENZA PERSONALE

La storia clinica

I sintomi

Le terapie sperimentate

La ricerca di accettazione

La risposta sociale

I bisogni

Le possibilità

Le prospettive

Il riconoscimento

 

L'ESPERIENZA PERSONALE

Predente: Le terapie sperimentate

La ricerca di accettazione  

Dislessico nell’età infantile e figlio di genitori separati di cui uno alcolista in un paese piccolo e ultracattolico, ho vissuto da emarginato dalla comunità ed anche dalla difficoltà personale a capire e comunicare, a causa di questo avevo accumulato, assieme ad un enorme bisogno di essere accettato, una grande capacità a bastare a me stesso. 

Nell’adolescenza mi dedicai quasi completamente allo studio dopo il lavoro. Prima dei 20 anni raggiunsi così il bilinguismo con il tedesco, la capacità di leggere e studiare in qualsiasi lingua dell’Europa occidentale, un attestato di attrezzista meccanico, e la conoscenza dell’elettronica ad un livello sufficiente per essere assunto in un laboratorio della Siemens che si occupava di alta frequenza. 

Se quindi la malattia e l’etichettatura quasi immediata di psicopatia varia fu una mazzata, ero ben corazzato per resistere ai colpi anche se con inevitabili ammaccature. 

L’essere cosciente che lo stato d’animo o umore per usare terminologie inadeguate ma usate da tutti non influenzavano l’inizio degli stati di malessere, ma era lo stato di malessere perdurante ad intristirmi, mi vaccinava da qualsiasi insinuazione medica o no. 

Se gli altri dicevano che dovevo reagire e superare con la volontà i malesseri che asserivo di soffrire e che loro non vedevano, erano gli altri a sbagliarsi.

 Tutti! 

Inesorabilmente l’atmosfera magnifica con cui questo giovane era stato accolto nello staff del laboratorio Siemens lasciò spazio all’incomprensione seguita alla diagnosi di igrofobia riportata sui certificati medici consegnati al datore di lavoro, alla delusione per la fiducia riposta e ad una leggera e persistente emarginazione. 

Rientrai in Italia dopo quasi due anni, e l’atteggiamento della famiglia fu coerente con la frase “visto, l’avevamo detto” adesso fa il bravo e comportati come diciamo noi. 

Feci il tecnico presso una ditta per cui viaggiavo ininterrottamente. 

Nel 1968 accettai il lavoro come assistente di fisica al Liceo Prati perché sentivo aggravarsi la situazione della salute: questo venne vissuto dalla famiglia come ravvedimento, ma la famiglia reagiva con grande ostilità ad ogni crisi fisica. 

Dopo sette anni di vana ricerca di dialogo e di accettazione in famiglia, mi trasferii a Trento e come reazione la famiglia mi sequestrò tutto quanto possedevo, abiti, libri, laboratorio e ricordi. 

Dovevo tornare a casa, chiedere perdono a mamma e comportarmi come tutti gli altri, smettendo di tirare fuori storie di malattie inesistenti. 

In questi anni avevo cercato un affetto ma si verificava uno strano ciclo, d’estate riuscivo ad interessare qualche ragazza e d’inverno stavo così male che me ne allontanavo per paura che lo scoprisse. 

Dal 1969 al 1973 collaboravo con le organizzazioni di sinistra parlamentari ed extra con manutenzioni tecniche e proiettando film con un proiettore personale. 

Nel 1971 accolsi in casa una coppia appena sposata, se ne andarono dopo alcuni mesi con strascichi di incomprensione per i miei sbalzi di attività e di inattività a loro incomprensibili. 

Nel 1973 iniziai ad occuparmi di alcuni ragazzi allontanatisi dalla famiglia e facenti capo alla comune di Pergine, e nel 1974 li accolsi nel mio appartamento, in parte per vincere la solitudine, in parte per aiutarli, in parte per scambiare le mie capacità professionali con dell’aiuto di cui iniziavo ad aver bisogno. 

Fondammo una cooperativa S.O.S. cASA per piccoli lavori di manutenzione nelle abitazioni, insegnai loro a lavorare, finanziai con circa 40 milioni, dei ragazzi ne persi solo uno per droga. 

Man mano che acquisivano sicurezza professionale ed io peggioravo fisicamente venivano sempre più ricercati dalle famiglie di origine; si produssero tensioni interne, la cooperativa si sciolse dopo quattro anni ed un certo attivo economico. Io pagai con la perdita di quanto dato e con diffamazioni che si rafforzarono con le dichiarazioni del dott. Giovanni Sembianti che non avevo alcuna malattia fisica, e del prof. Filippi vicepreside del Liceo Prati che non avevo voglia di lavorare, perché non mi ammalavo mai l’estate, ma sempre d’inverno, quando c’era appunto da lavorare. 

Tornai in Germania e lavorai in un laboratorio della SVESA che si occupava di progettazione nel campo laser, ancora una volta bene accolto, ma con i rapporti che risentivano di questo male invisibile e di natura ignota. 

Per lo meno mi ristabilii economicamente. 

Rientrato in Italia e finito in carrozzina, solo e non autosufficiente cercai molte soluzioni esistenziali, ma sempre invano. 

Nel 1984 iniziai la battaglia per l’abbattimento delle barriere architettoniche, ci riuscii assolutamente da solo, e dopo, solo dopo, molti convennero che erano stati proprio lungimiranti ad appoggiarmi. 

Ideai e finanziai la cooperativa S.I.A.r.t.a., sempre nell’intento di scambiare capacità professionale con aiuto personale. 

Ma il progressivo peggiorare delle condizioni fisiche mi pregiudicavano i contatti con l’esterno, e la conseguente possibilità di far capire a sufficienza le finalità della cooperativa stessa, e di guidarne i rapporti secondo i fini statutari. Venivo invece sbranato vivo da molti beneficiati dalla cooperativa, che fra loro e agli altri si glorificavano di quanto io da solo riuscivo a portare a termine e mi sputtanavano come unico responsabile di ciò che loro non facevano, sempre utilizzando l’ambiguità della malattia ed aumentando a proprio vantaggio i dubbi e le diffamazioni che incessantemente si incrociavano. come si può disinfettare il rapporto sociale di una persona portata ostinatamente e contro ogni volere alla propositività ed alla costruzione se PRIMA non si accetta il suo male e non si smette di negargli gli stessi mezzi per sopravvivere?

 

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